Ovvero: come spiegare la propria condotta senza per questo volerla giustificare
Se potessi o dovessi scegliere di trasmutarmi in un animale che mi rappresenti appieno per come vorrei essere, fare, pensare o comportarmi; per ciò che vorrei gli altri in me riconoscessero, ammirassero, invidiassero o temessero; per tutto ciò che esprime grandezza, evoluzione, elevazione e sublimazione; per tutto ciò che è bellezza, coraggio, audacia, prestanza, forza ... ebbene vorrei essere precisamente - l'ho sempre detto - uno splendido, lucido, elegante, agile, possente e temerario Giaguaro.
Il Giaguaro!.... È il felino più forte, impavido, indomabile, instancabile, astuto e dotato. Più delle tigri, più dei leoni, più dei leopardi o dei puma,.... è il predatore principe, quello a cui le imprese di caccia più ardite, complicate e pericolose riescono con naturalezza, senza che mai, o quasi mai, egli debba dare fondo alle sue immense potenzialità.
È il solo che non tema di vedersela con caimani e anaconda, che osi affrontarli direttamente nel loro stesso territorio e che, forse non sempre, ma sicuramente il più delle volte, ne esca vincitore.
Nel Centro e nel Sud America lo chiamano "il gatto che uccide con un balzo" perché la vittima prescelta dal Giaguaro difficilmente lo impegna nello sforzo di un secondo assalto: il suo primo balzo è già quello fatale.
Il Giaguaro è l' animale che meglio simboleggia l' identità che nella vita avrei voluto affermare ma che la prova dei fatti, in modo lampante, dimostrò che mai avrei potuto raggiungere.
Le aspirazioni sono legittime e legittimamente riconosciute a ciascuno di noi. Chiunque ha il diritto di aspirare a qualcosa. O almeno di sognare. La realtà della vita, invece, soprattutto quella alla quale debbo la mia formazione, non mi ha mai visto primeggiare per particolari doti di ferrea volontà, voglia di vincere o determinazione; mai mi vide affrontare e travolgere gli ostacoli e le difficoltà con la fiera consapevolezza della superiorità dei miei mezzi; mai assistette ad alcuna mia azione che meritasse l'appellativo di eroica o eclatante.... A dirla breve, caro lettore, il mondo, con chi scrive, annovera qualcosa di ben diverso dallo splendido e mirabile predatore maculato; qualcosa che, lungi dall' avventurarsi vincente tra le foreste della vita, si è collocato assai più in basso nella gerarchia delle nobili fiere, non andando oltre dall' essere – per simbolica analogia – niente più di un modesto, normalissimo gatto.
Niente di più o di meglio: a questo e a nient'altro m'è riuscito di arrivare.
Un semplice, pigro, morbido, sfuggente ed innocuo gatto. Un animale del quale intenerisce la placida indolenza e diverte la buffa vivacità, ma al quale pochi perdonano l'opportunismo (in fondo veniale) o quel tratto sommesso di ambiguità (in fondo lieve).
Un Gatto sono, quindi. Siamo ancora nella famiglia dei felini, d'accordo, ma quale divario tra l'essere e l'ambire!
Intendiamoci, non è che il gatto sia un animale da disprezzare; non è che l' essere gatto sia cosa da poco. Un gatto è un gatto. Ha le sue potenzialità e, almeno un poco, tutti si riguardano dal provocarne le reazioni o dallo stuzzicarne l' aggressività. Ma è anche vero che il gatto, ove non susciti indifferenza, pregiudizio od ostilità preconcetta, ispira solo tenerezza, indulgenza o tolleranza. Al massimo, il desiderio di elargirgli qualche coccola ed ascoltarne le fusa. Per chi abbia accarezzato sogni di impavida grandezza, di spregiudicato eroismo, di travolgenti avventure, la disillusione è notevole.
Eppure il gatto, se rimaniamo nel novero degli animali domestici, non è da meno di alcuno e la storia che adesso andrò ad esporre avendo preso a prestito e rivisto a mio consumo la trama di una favoletta del grande Kipling (che non me ne vorrà, spero), dimostra anzi come il gatto, in un momento topico dell' evoluzione del mondo, abbia saputo ottenere il massimo del risultato che si era prefisso appellandosi unicamente alle sue non comuni doti e utilizzando efficacemente, come nessuno prima di lui, le sue peculiari caratteristiche.
Avanti col racconto, allora.
. . . . .
Al tempo della preistoria, quando l' uomo primitivo strappava alla meglio dal grembo di Madre Natura quanto gli necessitava per sopravvivere, di animali domestici neanche parlarne. Per quanto glielo consentivano, l'uomo primitivo doveva contare unicamente sulle proprie forze per sfamare sé stesso e, ovviamente, la propria donna.
Ma l' uomo poteva contare su di una mente superiore e una capacità di inventiva che agli altri animali mancava. Così, ad esempio, smise presto di vagare per foreste e praterie e di rifugiarsi dove capitava per ripararsi dalle intemperie o per trascorrere la notte. Sentendo la necessità di un rifugio stabile e di meglio organizzare la propria esistenza, prese dimora in una caverna, scegliendola in base a certi criteri di spazio e di abitabilità che gli parevano adatti ai progetti che aveva in mente.
Tutti gli altri animali scrutavano perciò incuriositi le strane costumanze di quell' animale senza pelliccia né corazza, che somigliava ad una scimmia ma non lo era e che, di fatto, non si era mai unito a loro, quasi si sentisse diverso, quasi che, per qualche incomprensibile ragione, si sentisse il vero padrone di quella terra che tutti insieme condividevano.
Con la vita in caverna, la giornata dell' uomo si fece più varia ed articolata, e le nuove idee non gli mancavano: né a lui, né alla donna.
L' uomo andava tutti i giorni a caccia, come sempre, ma intanto, con l' aiuto del fuoco, aveva imparato a costruire armi più efficaci ed aveva scoperto nuovi modi per forgiarle. Del fuoco, poi, scopriva ogni giorno le infinite possibilità di utilizzo e, fra le prime, l' impiego in cucina.....
Era fuor d'ogni dubbio che le cibarie, una volta scaldate sul fuoco e condite con qualche erba aromatica, di quelle che si trovavano ovunque, desse tutt'altra soddisfazione al gusto ed è altrettanto indubbio che l' effluvio dei profumi di cucina, aleggiando tutt' attorno, desse stimoli nuovi ed intriganti alle narici già naturalmente sensibili degli animali che, richiamati da tutto quell' armeggiare, sostavano spesso, nascosti, ai limiti della radura prospiciente la grotta dove si erano insediati l'uomo e la donna.
A curiosare con vario interesse convenivano praticamente tutti gli animali che oggi riconosciamo come domestici: il cane, il cavallo, la pecora, la capra, la mucca, la gallina,.....
Un po’ in disparte, poi, c'era anche il gatto che ogni tanto sbadigliava volgendo lentamente di qua e di là uno sguardo apparentemente annoiato.
Il desiderio di sapere qualcosa di più di ciò che avveniva nella grotta era forte in tutti gli animali, ma nessuno sapeva risolversi a formulare una proposta, a buttar lì un' idea. Tantomeno il gatto che, al contrario degli altri, ostentava un superiore disinteresse.
Un giorno finalmente il cane si decise.
- Secondo voi cosa staranno facendo in quella grotta?, chiese agli altri.
- Non sappiamo, risposero quelli, dubitosi, ed aggiunsero:
- Ma sarà certamente qualche cosa di pericoloso.
Il cane annusò più volte la brezza leggera che portava al suo odorato sensibile un delizioso profumo d'arrosto e disse:
- No, non credo vi sia nulla di pericoloso, anzi..... quasi quasi andrei là a vedere cosa succede! Anzi, ci vado proprio!.... Amico gatto, vuoi venire con me?
- Chee? - mostrò di sorprendersi il gatto e con una mezza smorfia rispose:
- Io venire là? Non ci penso nemmeno. Io me ne infischio! A me tutto è indifferente.
- Sta bene, disse il cane, andrò da solo.
Il cane si avviò tranquillo e gli altri animali se ne andarono ognuno per la propria strada accordandosi di ritrovarsi all' indomani per ascoltare cosa avesse da dire il cane.
Anche il gatto fece per andarsene, ma poi pensò:
- Se io me ne infischio e a me tutto è indifferente, che io stia di qui o di là è la stessa cosa. Che io me ne vada nella foresta o, perché no? che faccia la stessa strada del cane, non farebbe differenza!
Così, scivolando con le sue zampe vellutate tra la vegetazione che lo nascondeva, seguì il cane che in poco tempo giunse allo scoperto dinnanzi alla grotta.
L' uomo era fuori a caccia, e nella grotta vi era solamente la donna intenta a cucinare.
Quando questa vide il cane, senza scomporsi gli disse:
- Che fai qui, selvatico?
E il cane:
- Nemica moglie del mio nemico, sono venuto a vedere cosa sta succedendo nella grotta. Da quando vi siete sistemati qui, accadono cose strane e temo siano pericolose.
- Pericolose? Ma và! Tieni!, disse la donna lanciandogli una piccola bistecchina appena levata dal fuoco, assaggia e dimmi se questa ti pare pericolosa!
Il cane non se lo fece ripetere e se la divorò con grande gusto. Poi, leccandosi i baffi, rispose:
- Effettivamente non vedo pericoli in questa cosa che mi hai dato, anzi, se ce ne fosse ancora......
La donna sorrise compiaciuta e gli disse, avvicinandoglisi:
- Certo che ce n'è ancora. Ce ne sarà tutti i giorni per te, se resterai qui con noi, aiuterai l' uomo nella caccia e di notte farai da sentinella alla grotta!
- Padrona moglie del mio padrone!, proruppe il cane a quelle parole, sarà così come hai detto tu! Aiuterò l' uomo nella caccia, custodirò la grotta di notte ed in cambio avrò il mio nutrimento assicurato tutti i giorni!
Ciò detto, lasciò che la donna gli mettesse un collare al collo e si mise, buono e tranquillo ad attendere il ritorno dell' uomo.
Quando l' uomo rientrò dalla caccia, scorse il cane e chiese alla donna:
- Che ci fa qui questo selvatico?
- Non si chiama più selvatico, rispose quella, lui è il nostro primo amico. Ti sarà fedele e ti aiuterà nella caccia. La notte, poi, veglierà sulla sicurezza della grotta.
L' uomo ne fu contento ed accarezzò il cane che gli dimostrò la sua gioia agitando la coda.
Il gatto, che dalla sua postazione nascosta aveva seguito tutto l' evolversi della scena, quando ne vide la conclusione fece un gesto sprezzante con la zampa e disse tra sé e sé:
- Stupido cane!, e se ne andò.
Il giorno successivo, come pattuito, gli animali superstiti si ritrovarono tutti al limitare della radura davanti alla grotta e constatarono che il cane mancava.
Laggiù alla grotta tutto pareva normale. L' uomo non c'era, ma qualcosa doveva aver fatto, perché l' erba tutt' attorno era stata tagliata e la donna la stava distendendo al sole perché asciugasse. La sua intenzione era di farne un pagliericcio che avrebbe reso più confortevole il sonno a lei ed all' uomo, visto che sino ad allora avevano dormito sul terreno duro.
Dopo aver disteso l' erba al sole ed essersi compiaciuta del caldo profumo che essa emanava, la donna prese una vecchia pelle dissecata e cominciò a tagliarla a lunghe strisce….
Il cavallo, già abbastanza stuzzicato dal profumo dell' erba che come a nessuno gli stimolava l' acquolina, disse finalmente:
- Secondo me è successo qualcosa al cane! Forse qualcosa di grave... ed è nostro dovere andare alla grotta a chiederne notizie! Io, per me, sono disponibile ad andarci anche ora! Amico gatto, vuoi venire con me?
- Chee? - rispose come sorpreso il gatto e rispose scostante:
- Io venire là? Non ci penso nemmeno. Io me ne infischio! A me tutto è indifferente.
- Sta bene, disse il cavallo, andrò da solo.
Il cavallo caracollò tranquillo verso la grotta e gli altri animali, come la volta precedente, si accordarono di ritrovarsi all' indomani per ascoltare cosa avesse da dire il cavallo.
Sulle prime anche il gatto fece per allontanarsi, ma poi pensò:
- Dato che me ne infischio e a me tutto è indifferente, ovunque io vada è la stessa cosa. Se anche facessi la stessa strada del cavallo, che differenza farebbe?
Così, camminando sui velluti e sempre nascosto dalla vegetazione, seguì il cavallo che in poco tempo, al piccolo trotto, giunse dinnanzi alla grotta.
Come la donna vide il cavallo avvicinarsi nascose un sorrisetto compiaciuto e senza dire nulla, attese che quello la interrogasse.
- Nemica moglie del mio nemico, iniziò il cavallo, potrei sapere che ne è stato del cane? Ieri ci ha detto che sarebbe venuto qui da te e non lo abbiamo più visto. Gli è forse successo qualcosa? Non gli avrete fatto del male, spero!
- Al cane non è capitato nulla di male, stai tranquillo!, rispose sicura la donna, ma tu, caro il mio selvatico, non me la racconti tutta..... tu sei venuto qui perché hai annusato il profumo della biada disseccata al sole, vero?
- Vero, disse il cavallo, potrei assaggiarne?
- Di più, mio caro, di più! Potrai averne quanta ne desideri! E tutti i giorni!.... Basterà che tu porti l' uomo sulla tua forte groppa e che lo aiuti nel lavoro dei campi tirando l' aratro. Sarai il nostro maggiore sostegno e fieno e biada non ti mancheranno mai, puoi contarci! Intanto assaggia, assaggia pure e poi dammi una risposta.
Il cavallo non mise tempo in mezzo e masticò con gusto l' erbetta olezzante. Poi, senza più esitare, disse:
- Padrona moglie del mio padrone! Sarà così come hai detto tu! Porterò l' uomo dove vorrà e lo aiuterò nel lavoro dei campi. In cambio avrò il fieno e la fresca biada assicurati tutti i giorni!
Ciò detto, lasciò che la donna gli mettesse le briglie e se ne stette tranquillo ad attendere il ritorno dell' uomo.
Quando l' uomo rientrò dalla caccia in compagnia del cane, vide il cavallo e chiese alla donna:
- E questo selvatico? Come mai è qui anche lui?
- Non è più un selvatico, rispose la donna, ma il nostro patrimonio più prezioso. Ti sarà amico, ti porterà sulla sua forte groppa e ti aiuterà nel lavoro dei campi.
L' uomo ne fu assai compiaciuto e diede una carezza al cavallo che agitò la criniera in segno di riconoscenza.
Il gatto, che dalla sua postazione nascosta aveva tutto visto e sentito, ebbe un gesto di disgusto e disse tra sé e sé:
- Stupido cavallo!, e si allontanò.
Il giorno dopo, come convenuto, gli animali superstiti erano ancora tutti lì a domandarsi dove fossero finiti il cane e il cavallo e a temere per la loro sorte. Il gatto sapeva tutto, ma preferì non dire nulla.
Gli animali scrutavano preoccupati la grotta. Molta dell' erba stesa il giorno prima a seccare era ancora là, davanti all' entrata.
- La cosa si fa seria, amici!, disse la mucca, due dei nostri sono spariti dopo essere andati alla grotta. Bisogna che uno di noi vada a vedere cosa è successo! Io, anzi, ci vado subito!....... Amico gatto, vuoi venire con me?
- Cheeeee?, rispose il gatto quasi risentito, io venire là? Non ci penso nemmeno. Io me ne infischio! A me tutto è indifferente.
La mucca si avviò quindi da sola ed il gatto, poiché se ne infischiava e tutto gli era indifferente, decise che in quel particolare frangente gli andava di passare dai boschi e, casualmente, di seguire una strada parallela a quella che, con passo grave, stava percorrendo la mucca nel suo avvicinarsi alla grotta.
Quando la mucca ebbe promesso alla donna di fornire a lei ed all' uomo il proprio latte tiepido e bianco tutti i giorni in cambio di alloggio e nutrimento, il gatto con una smorfia di sufficienza sibilò tra sé e sé:
- Stupida mucca!
L' apparente morìa degli animali preoccupava sempre di più quelli che erano rimasti che, ad uno ad uno, decidevano di presentarsi alla grotta per avere notizie degli amici scomparsi.... Ognuno di loro, nel prendere la propria decisione, non mancava di rivolgere al gatto il solito invito:
- Amico gatto, vieni con me!
Ed ogni volta il gatto, che sapeva bene come stavano le cose ma non diceva nulla, rispondeva immancabilmente e quasi con fastidio:
- Io me ne infischio! A me tutto è indifferente!... Salvo poi seguire l' avventuriero di turno e vederlo, anche questo immancabilmente, trattare con la donna e finire con l' accettare di porsi al servizio dell' uomo.
Così la pecora promise di fornire latte e lana, la capra, anch' essa il proprio latte, le galline le uova e così via.
Ed ogni volta il gatto se ne tornava indietro, scuotendo la testa, pieno di disprezzo per il servilismo dei suoi amici.
- Stupida pecora!... Stupida capra!... Stupida gallina!
Stupidi tutti, certo,.... ma intanto era sempre più solo, ed alla fine si ritrovò solo del tutto.
Fu così che, dopo aver a lungo meditato e a lungo battagliato con il proprio orgoglio, ormai in vista di una stagione invernale che si avvicinava, comprese che anche a lui non restava che presentarsi alla grotta e vedere di rimediarvi un posticino.
Esitò non poco prima di decidersi, ma infine eccolo lì, con passo lento e sinuoso, quasi dinnanzi all' entrata di quel benedetto luogo che tanto aveva mutato la vita dei suoi amici e tra poco, forse, anche la sua.
Come la donna lo vide gli rivolse un sorriso chiaramente di scherno.
- Mmmmh! … Cominciamo male!, pensò il gatto.
- Oh, eccoti qua!.... Ecco arrivato anche il nostro gatto! Che ti succede? Ti sei deciso a venire per chiedere ospitalità?
- Io?, rispose il gatto, Io.... beh, no! (maledetto orgoglio).... ma sono spariti un sacco di miei amici e non li ho più veduti da che sono venuti qui da voi.... cane, cavallo, pecora, capra..... dove sono finiti? Che ne è stato di loro?
- Tranquillo, gatto! Loro sono finiti bene, gli disse la donna con tono di sfida, ma sarà il caso che finisca anche tu di fingere un interesse che non hai. Sei venuto perché speri di essere ammesso anche tu nella grotta, dove la vita ti appare più comoda e confortevole di quella difficile e pericolosa che conduci da solo per i boschi e le praterie. Degli altri poco ti importa. Non è così?
- Non è così ed in ogni caso non sta a te giudicare. Io non ti ho fatto nulla di male e nemmeno voglio fartene. Perciò non ci sarebbe alcun motivo per cui non possa stare anche io nella grotta con tutti gli altri. Erano i miei amici, stavamo tutti assieme. Adesso li hai messi al tuo servizio ed io sono rimasto solo....
- Mio caro gatto, rispose la donna severa e per nulla impietosita, nessuna ragione ci sarebbe, è vero, ma i tuoi amici mi danno molto in cambio..... mentre tu, scusa, a cosa servi?
- Io?.... Beh, si può vedere.....
- Niente! Non c'è nulla da vedere, gatto mio bello! Non so che farmene di un gatto che se ne infischia e al quale tutto è indifferente!
- Ah, ho capito! Ti hanno parlato male di me.
- Ti sbagli. Non mi hanno mai parlato di te. né bene né male. Così come a te tutto è indifferente, tu sei indifferente agli altri.
Anche alle indifferenti e ciniche orecchie del gatto quelle parole suonarono dure come pietre e capì che così non avrebbe risolto nulla. Conveniva rassegnarsi alla situazione e mostrare di pentirsi un poco di quel suo orgoglioso disinteresse, di quel suo distacco tanto apertamente ostentato.
- Mi stai dunque dicendo che per me non c'è nulla da fare, che non potrò mai entrare nella grotta, né accovacciarmi accanto al fuoco, né avere il latte tiepido e bianco?.... Va bene, se è così me ne vado .... prima però lasciami dire che un gatto serve. L' utilità di un gatto non sarà così evidente, ma se tu sei tanto intelligente e buona quanto bella, dovresti capire da te che di un gatto non puoi fare a meno (di nuovo quel calamitoso orgoglio).
La donna si mise a ridere:
- Buona di certo, intelligente forse, ma anche bella mi sembra troppo! No, gatto, così non attacca. Potrei lasciarti entrare nella grotta solo se mi venisse di pronunciare una parola in tua lode, cosa peraltro davvero improbabile!
Trovando questa affermazione estremamente interessante, il gatto ribatté prontamente:
- Una parola in mia lode hai detto? E me lo prometteresti?
- Ma sì, tanto non vedo come potrebbe accadere!
- E dimmi..... se ne pronunciassi due?
- Due parole in tua lode? Difficile, molto difficile che ne pronunci due, ma se così fosse potresti anche startene accanto al fuoco.
- Accanto al fuoco.... e se ne pronunciassi tre?
- Tre? Impossibile, assolutamente impossibile che io ne pronunci tre, ma se mai fosse, ebbene ti concederei il latte tiepido e bianco tre volte al giorno!
- Bene, donna, allora siamo d' accordo. Non dimenticarti della tua promessa.
Ciò detto, il gatto si volse e in pochi attimi sparì alla vista.
Da allora, per molto, molto tempo lì, dalle parti della grotta, di lui non si seppe più nulla.
Lasciata la grotta alle spalle, il gatto prese a camminare e a camminare, sempre con il suo solito passo e sempre volgendo di qua e di là uno sguardo solo apparentemente distratto e svagato.
Per la verità non aveva ben chiaro dove andare, ma si rendeva confusamente conto che era necessario per lui allontanarsi quanto bastava per consentire a sé stesso di riflettere sul da farsi e agli altri di dimenticarsi di lui.
Per il momento, questo capiva, non aveva bisogno di essere né ricordato, né menzionato.
Lo strano accordo che aveva concluso con la donna era, a ben vedere, molto più di quanto potesse sperare, se solo gli fosse riuscito di ricavarne il massimo possibile, ma poteva anche valere nulla se non ce l' avesse fatta a raggiungere almeno il primo dei tre obiettivi.....
Certo, agli altri animali non era toccato di sostenere la manfrina riservata a lui. Ad essi tutto era filato normale: tanto ti dò, tanto mi dai e patto concluso. Dapprima, "nemica moglie del mio nemico" e subito dopo "padrona moglie del mio padrone"....
Lui, tanto per cominciare, non le si era rivolto con alcun appellativo, né provocatorio né accattivante e lei, di contro, sembrava quasi indispettita del fatto che lui si presentasse così tanto tempo dopo gli altri e senza mostrare alcuna sottomissione.
Dal tono con cui gli si era rivolta, poi, pareva persino non aver atteso altro che l' occasione giusta per rinfacciargli il suo risentimento.
In più, ora che ci pensava, nessun accenno era stato fatto in merito ad una contropartita in servigi che lui avrebbe potuto corrispondere a compensazione del vitto e dell' alloggio ai quali mirava. La donna si era detta convinta della sua inutilità come animale domestico e lui, francamente, nemmeno aveva pensato a come proporsi o almeno a come darsi un' immagine positiva.
Così restando le cose, le sue speranze di riuscita rimanevano legate all' esito del tentativo di far pronunziare alla donna quante più possibili parole in sua lode.
Agli altri l'essere accettati era costato, in fondo, assai poca fatica, ma d' altra parte lui non si sentiva affatto come gli altri!... Lui non era “come” gli altri!..... Ecco, ora che era assolutamente solo con se stesso riconosceva che questa sua presunzione non pagava granché, anzi, sotto certi aspetti era finanche immotivata.
Bah! Per l' intanto, la cosa migliore da fare era cambiare aria.
Così ragionando tra sé e sé camminò senza fermarsi per una mezza giornata buona e quando vide che tutt' attorno il paesaggio gli era assolutamente nuovo e sconosciuto e che il cielo cominciava a scurire, decise di fermarsi.
Tanto per non restare al freddo e all' addiaccio, scovò una specie di tana alla base del tronco d'un albero e vi si accomodò.
La notte imminente gli avrebbe dato consiglio......
Al mattino, appena sveglio, prese ad andare tutt'attorno per conoscere il nuovo ambiente e farsene un' idea. Per costruirsene, secondo l' abitudine dei gatti, una mappa mentale precisa.
La tana d' albero dove aveva preso alloggio era tutto sommato confortevole e l' albero stesso era abitato, nei rami più alti, da svariate famiglie di uccelletti cinguettanti e più o meno canterini.
Il gatto, che sulle prime non aveva escluso di farne la sua riserva personale di caccia, pensandoci meglio ebbe invece il felice intuito di lasciarli in pace ed anzi, di farseli amici.
Gli uccelli volano e possono coprire grandi distanze in poco tempo. Meglio ancora: possono vedere dall' alto e non essere riconosciuti: chi fa caso a rondini, passeri, fringuelli o cardellini? E là, alla grotta, chi avrebbe fatto caso agli uccelletti che svolazzavano tutt'attorno? Nessuno, naturalmente: erano i migliori e più efficienti esploratori che potesse sperare di trovare. Bastava istruirli a dovere e da loro avrebbe avuto tutte le informazioni possibili in merito a quanto accadeva da quelle parti.... Da quelle parti dove, tranne lui, avevano trovato stabile dimora tutti gli animali suoi amici... Dove abitavano l' uomo e la sua donna con la quale lui aveva stretto un patto arduo da far valere... Si, laggiù alla grotta, dov'erano i suoi luoghi natii ed abituali, quei luoghi dove era nato e cresciuto e che adesso aveva dovuto lasciare.....
Gli uccelletti, dapprima un poco diffidenti, compresero presto che dal gatto non c'era da temere ed anzi, la sua presenza avrebbe scoraggiato gli altri piccoli predatori che per essi non erano meno pericolosi di quelli grandi e che pullulavano in grande quantità in quei boschi. Assolsero perciò con grande solerzia il compito che il gatto aveva affidato loro e che a loro, d'altra parte, non costava nulla.
Presero quindi a relazionarlo, dapprima una o due volte la settimana e poi tutti i giorni, sull' evolversi della vita quotidiana alla grotta.
Per mesi e mesi non gli riferirono alcunché di nuovo o di interessante: l' uomo cacciava o lavorava la terra; la donna svolgeva tutte le faccende connesse alla gestione della grotta non trascurando di tenersi sempre pulita, pettinata ed in ordine; il cane svolgeva il doppio ruolo di aiutante nella caccia e di guardiano; il cavallo fungeva da mezzo di trasporto e da forza lavoro nei campi; la mucca figliava e dava latte; la pecora faceva il suo dovere così come la capra e la gallina,...... nessuna possibile apertura per lui, insomma.
Ma il gatto sapeva di dover aspettare.
Fu così che un bel giorno - quanto tempo era passato dalla sua dipartita? E chi se ne ricordava più, ormai? - un bel giorno, dunque, gli amici uccelletti se ne tornarono dal loro viaggio esplorativo eccitati e con una nuova e interessantissima notizia:
- Novità alla grotta, amico gatto! Novità!
- Ah sì? Sentiamo.
- Adesso alla grotta sono in tre!
- In tre?, chiese il gatto facendosi più attento.
- Sì, in tre! C'è un bambino, adesso! Un bellissimo bambino roseo e grassottello che è un amore! Ha due occhietti vispi e le guance paffutelle e i suoi genitori non hanno occhi che per lui!
- Un bambino...., disse il gatto cogitabondo, sì, questa è una novità da non trascurare, ma devo saperne di più. Nei prossimi giorni osservate bene tutto ciò che accade attorno a quel bambino e riferitemi. Lasciate perdere tutto il resto: non ha più importanza. È il bambino che mi interessa!
E così fecero gli uccelletti: volarono alla grotta e concentrarono la loro attenzione solamente sul bambino.
- Ah, amico gatto!, gli raccontavano, vedessi come cresce! È sempre più carino e simpatico! I genitori ne sono fieri ed orgogliosi e si farebbero in quattro per vederlo felice!
- Ottima cosa, commentava il gatto, ottima cosa. Continuate, amici uccelletti, continuate a sorvegliare e a riferirmi.
Passò dell' altro tempo. Il gatto, per mezzo degli amici uccelletti, seguiva passo passo la crescita del bimbo del quale non facevano che riferirgliene con accenti di grande tenerezza. Lui di solito li ascoltava senza interrompere con commenti o domande, ma un bel giorno, improvvisamente, ruppe la consuetudine e chiese:
- E..... ditemi, amici miei, cosa piace al bambino?
- Oh beh! Tutto gli piace! Non è schizzinoso o diffidente. Gli piacciono le cose morbide e calde, gli piace la compagnia, ma soprattutto gli piace che si giochi con lui!
A quelle parole, il gatto si lasciò andare ad una smorfia di compiacimento e rivolgendosi riconoscente agli amici uccelletti ai quali aveva finito per affezionarsi, disse finalmente:
- Bene, miei cari uccelletti, ora tocca a me. Purtroppo debbo dirvi che è arrivato il momento di separarci. Tornerò da dove sono venuto per vedere se là ci potrà essere posto anche per me. Non so come andrà, ma qui non mi rivedrete comunque. Siete stati gentili e preziosi: dei veri amici. Non vi dimenticherò, ma ora addio!
E prima che questi potessero riaversi dalla sorpresa di quella improvvisa dichiarazione che li lasciava stupefatti e contriti e, magari, domandare spiegazioni, il gatto si volse e si incamminò senz'altro in direzione della grotta.
Se ne andò senza voltarsi perché gli seccava da morire che lo si vedesse in qualche modo commosso: lui era il gatto che se ne infischia e non voleva che lo si sapesse vulnerabile ai sentimenti.
La via del ritorno è sempre più breve di quella che si è percorsa all' andata, e non solamente perché i luoghi divengono sempre più familiari via via che ci si avvicina a quello da cui siamo partiti. È più breve perché, quando si è spinti da un buon motivo, il nostro passo diviene vieppiù rapido.
Nell' avviarsi verso la grotta, il gatto si sentiva sospinto da una sorta di ansietà per lui affatto nuova. L' abituale sicurezza che aveva nei suoi mezzi e nelle sue risorse non gli era venuta meno in tutto quel tempo; non aveva un piano ma confidava nelle sue doti di improvvisazione. Il punto debole della controparte, quello sul quale presumibilmente avrebbe agito, lo aveva individuato. Avrebbe potuto prendersela comoda, quindi, magari riflettendo meglio sulla situazione creatasi alla grotta e preventivando qualche astuzia per trarne la massima convenienza, ma l'urgenza che sentiva di muoversi era irrefrenabile: perciò aveva lasciato repentinamente gli amici uccellini e l' albero che lo aveva ospitato, ed ora non gli riusciva di tenere il solito passo guardingo e sempre uguale.
Procedeva a balzi e a piccole corse, il gatto che se ne infischia, e solo di rado riprendeva il passo e il fiato. Si sentiva agile e forte, lucido e sicuro di sé, anche se avrebbe tanto voluto non aver da superare quella prova!
La radura che si estendeva dinnanzi alla grotta gli apparve, quando alfine la rivide, rassicurante così come aveva sperato di ritrovarla.
Era una bella mattinata tiepida e chiara: non gli ci volle più d'un attimo per ricollocare nella sua mente quel luogo un tempo a lui familiare e ne fu lieto. Badando a non farsi scorgere, si appostò quindi tra i cespugli rimanendo assolutamente immobile, ma desto e vigile.
Si percepiva che dalle parti della grotta c'era un pò di movimento e difatti, di lì a poco, con il rispettivo seguito di agnellini e capretti, pecora e capra vennero condotte nel prato retrostante dove già ruminava la mucca e dove a tutt'e tre venne prelevato il latte.
Salito a cavallo e richiamato con un fischio il cane, l' uomo si allontanò quindi per andare a caccia.
I movimenti continuavano: sulla soglia era apparsa ora la donna che si affannava a spazzare, ripulire e rassettare. Accendeva il fuoco, faceva provvista d'acqua, stendeva le pelli dei giacigli sull'erba fresca e rugiadosa, raccoglieva verdure e ortaggi, e poi lavava, ordinava, riponeva, riempiva, tagliava, cucinava.... ed infine, reggendolo in braccio, eccola condurre fuor della grotta il famoso bambino e accomodarlo su di una pelle maculata, lasciandogli accanto sassi e legnetti di foggia strana perché giocasse nel mentre che lei attendeva ai lavori domestici.
Essendo sola, non poteva stare in compagnia del suo piccolo altro che saltuariamente e per poco tempo e ciò le dispiaceva.
Fu così che il bambino, annoiatosi presto dei suoi oggettini, si mise a piangere. E pianse sempre più forte tanto che la donna fu costretta a uscire dalla grotta per distrarlo e giocare un poco con lui. Il bambino smise di piangere, ma presto la donna fu costretta a lasciarlo e a rientrare nella grotta per badare al fuoco, alla cena e a tutte le infinite incombenze della vita quotidiana che, evidentemente, dàtano sin dalla preistoria.
Inutile dire che il bambino non stette molto a rimettersi a piangere e la donna dovette uscire nuovamente, cosicchè la scena si ripetè ancora e ancora sino a quando, il bambino essendo stato appena calmato e la donna essendo forzatamente riandata alle proprie faccende, il gatto decise di agire e uscì allo scoperto.
Quando fu sicuro di essere stato visto dal bambino e di averne catturata la curiosità, prese ad avvicinarglisi cautamente.
Una volta giuntogli accanto cominciò a sfregarglisi contro più volte, poi gli strofinò il nasetto contro le ginocchia e sulle guanciotte tornite, quindi gli accarezzò il mento con la sua bella coda ritta, facendogli il solletico.....
Il bambino fu subito felice di quel contatto e volle affondare le sue manine nel pelo morbido e caldo del gatto, che lo lasciò fare.
Quando poi il gatto prese a passargli la linguetta rasposa sulla punta del naso, il bambino cominciò a ridere divertito e contento.
I trilli di gioia del bambino furono uditi dalla donna che, pronta com'era ad una nuova crisi di capricci, si stupì e, riponendo un paio di brocche d'acqua disse:
- Ma..... sta ridendo! Cosa succede? Come mai questo prodigio?
- Nessun prodigio, donna, le riferirono alcune rondini che avevano fatto nido sopra l'ingresso della caverna, è solo il gatto che sta facendo divertire il tuo bambino!
- Uh, ma che bravo!, esclamò la donna, piacevolmente sorpresa.... e subito si ritrovò di fronte il gatto che bel bello le disse:
- Buon giorno, donna! E bentrovata. La parola in mia lode che hai appena pronunciato mi permetterà d'ora innanzi di restare nella grotta assieme a tutti gli altri!
La donna restò di pietra.
Fissando sul gatto due occhi pieni di indignazione sbottò:
- Perfido ingannatore che sei! Perché sei tornato, essere subdolo? Credevi che ci dispiacesse non vederti attorno? Hai approfittato vigliaccamente delle mie difficoltà e questo mi fa capire di cosa tu sia capace! Mi pento cento volte della promessa che ti feci tanto tempo fa, ma non gloriarti del tuo successo! Ho promesso e manterrò, ma non aspettarti altro da me! Ed ora sparisci: non ti voglio avere dinnanzi!
- Donna, sei ingiusta, rispose il gatto con fermezza, io sono tornato dopo tanto tempo ed ho trovato quel che ho trovato. Non ti ho ingannato e non ho approfittato della situazione: mi è solo riuscito di divertire il tuo bambino..... la qualcosa mi fa concludere che gli altri, tutti gli altri, non ci sono mai riusciti o forse non ci hanno neppure provato!
A queste parole la donna esitò. Pur non credendo alla completa buona fede del gatto - ed aveva ragione - doveva ammettere, dentro di sé, che almeno per quanto riguardava il suo bambino, il gatto diceva il vero: solo lui era stato capace, in pochi minuti, di compiere il miracolo, solo lui era piaciuto al bambino, subito e tanto.
Forte restava però il suo risentimento nei confronti di quell' intruso la cui natura era così diversa da quella di tutti gli altri animali e così, senza ribatter parola, prese una gerla di lana e, afferrata una conocchia, si sedette mettendosi a filare.
Lasciato nuovamente solo nell' erba, il bambino ricominciò a piangere. Più volte la donna fu sul punto di alzarsi ed uscire, ma sempre fu impedita dal lavoro che stava facendo. D'altra parte, neppure intendeva rivolgersi al gatto perché provvedesse.... Il gatto però, sebbene tenesse gli occhi semichiusi, era tuttavia all'erta, così, ad un certo punto, senza farsi scorgere allungò una zampa e tirò a sé uno dei gomitoli, con il quale, sempre di nascosto, uscì dalla grotta e tornò dal bambino.
Rivedere il gatto e calmarsi, per il bambino fu un tutt'uno, ma il gatto aveva altro in mente. Prese così a giocare con il gomitolo e rotolandolo con la zampetta, incominciò a rincorrerlo, a balzargli sopra, ad agganciarlo con gli artigli ruzzolando con esso più volte per poi rilanciarlo ed inseguirlo tra mille balzi e saltelli, andando qua e là come una trottola impazzita. Un simile spettacolo fece divertire tantissimo il bambino che rise e rise forte, battendo più volte le manine..... La donna udì tutto questo e, con un lampo di soddisfazione negli occhi, serrò le labbra certa di aver compreso il chiaro tranello che le stava tendendo il gatto e quindi di essere affrancata dal rischio di pronunciare la seconda parola in lode di quel profittatore impunito.
Dopo averlo divertito abbondantemente, il gatto smise poco alla volta di correre e di agitarsi e si riavvicinò al bambino che lo guardava come aspettandosi qualcosa. Con movimenti sinuosi gli si sfregò nuovamente contro, poi con le lunghe vibrisse gli solleticò le orecchie, gli carezzò le guance con la zampetta ed infine, accomodandoglisi tra le braccine, principiò a fargli le fusa sinché il bambino si fu addormentato.
Il gatto gli rimase accanto, quasi addormentandosi anche lui.
Nella radura c'era ora un gran silenzio, rotto solo dal cinguettio di qualche uccellino.
Assorta nel suo lavoro, la donna non percepì subito quella strana calma, ma quando realizzò che da fuori si udiva solo un leggero stormir di foglie, si preoccupò immediatamente ed insorse dicendo:
- Oh, Cielo! Com'è che non lo sento più? Non gli sarà successo qualcosa?
- Nulla, donna, nulla gli è successo, la rassicurarono subito le rondini, il tuo bambino dorme. Il gatto lo ha fatto addormentare!
- Oh, sia benedetto! Ma come avrà fatto?
E immediatamente si morse le labbra reprimendo un gesto di dispetto nel vedere il famigerato gatto fare il suo ingresso nella grotta per andare ad accovacciarsi tranquillo accanto al fuoco......
- Donna, è la seconda parola in mia lode che pronunci questa mattina! Ora ho anche il diritto di restare accanto al fuoco: non ti spiacerà, spero, se ne usufruisco subito. Il bambino dorme ed io mi vorrei riposare.
La donna non emise verbo: furibonda riprese il lavoro cercando di sbollire la rabbia che le saliva dentro e risolvendosi di non pronunciare mai e poi mai la terza parola in lode di quel filibustiere.
Dannatissima e diabolica creatura! Servendosi degli espedienti più subdoli non solo aveva saputo mettere a profitto il fattore sorpresa, ma anche gli era riuscito di inventare una sostanziale variante al rapporto tra gli esseri umani e gli altri meno intelligenti animali.
Con il suo agire, il gatto dimostrava che una relazione puramente speculativa, basata sul reciproco scambio di risorse non era necessariamente la sola possibile. Le superiori risorse fisiche degli animali, che l' uomo impiegava fornendo in cambio sicurezza e mezzi di sussistenza, valevano bensì a rendergli meno ardua e difficile la quotidiana lotta per la vita ed a garantirgli una sopravvivenza dignitosa e decorosa, ma negli umani - dentro di essi - c'era anche altro: c'era un' anima che non si saziava di prodotti d'orto o d'allevamento o di cacciagione. Il bambino ne era l' esempio: lontano ancora dalle fatiche e dalle cure che il destino gli avrebbe un giorno riservate, richiedeva attenzione, disponibilità, calore; richiedeva una presenza coinvolgente, che catturasse il suo interesse, una compagnia con la quale riempire semplicemente il tempo. Chiedeva insomma di essere partecipe di un rapporto.
Tutto ciò mal si accordava con i criteri che sino a quella mattina avevano guidato i patti d'alleanza tra l' uomo e quegli animali che, per avere accettato di porsi al suo servizio, ormai si chiamavano "domestici". Il bambino, del tutto ignaro di dover loro buona parte della sua sopravvivenza, non trovava nulla di interessante o di piacevole negli "altri" animali domestici (ormai anche il gatto era diventato tale): certamente un giorno ne avrebbe saputo discernere la vitale utilità e, probabilmente, avrebbe mostrato loro tutta la sua riconoscenza, ma ora che le sue manifestazioni altro non erano che il frutto dell' ingenuità beata che lo animava, non aveva occhi che per quel morbido batuffolo di caldo pelo che - somma gioia - si prendeva cura di lui.
..... Ora che il bambino se la dormiva placidamente e la donna procedeva con il suo lavoro, rimuginando tra sé significati e conseguenze di quella mattinata fuori del comune, nella grotta era sceso un bel silenzio ammantato dai suoni impareggiabili della natura.
Anche il gatto che se ne infischia, semi-acciambellato in un accogliente anfratto di quella nuova dimora che si era appena conquistato, era sul punto di assopirsi.......
Chissà?....Forse accadde per via dell'assenza di rumori o forse fu un momento di imperdonabile e fatale noncuranza, fatto si è che un topolino decise allora di uscire dal suo piccolo, recondito rifugio e di venirsene a passeggiare proprio verso il centro della grotta....... ecco quindi il temuto roditore zampettare imprudentemente verso la zona più illuminata dell' ambiente e transitare addirittura a pochissima distanza dai piedi della donna!.....
Come questa lo scorse cacciò un urlo di ribrezzo e, continuando a strillare, saltò sopra lo scranno sul quale stava seduta chiamando un improbabile aiuto!... Ma fu un attimo! Come un dardo striato il gatto saettò dal suo angolo, artigliò il topo e sparì di fuori mentre l' eco delle grida della donna si disperdeva tra gli anfratti e le volte buie della caverna.
Poco dopo, con il solito incedere misurato e negli occhi un tratto di compiaciuta spavalderia, il gatto rientrava per tornarsene al suo posto.
Passando davanti alla donna, ancora un poco sgomenta, le lanciò uno sguardo malandrino e, senza sorprendersene più che tanto, vide che lei questa volta non gli mostrava ostilità, ma anzi gli sorrideva.
Poi, essendo scesa dallo scranno, andò senz'altro alla brocca del latte, ed empiendogliene una scodella di legno, ammise rasserenata:
- Tu sei veramente formidabile, mio caro gatto, e mi sei molto più utile del cane......
- Donna, rispose il gatto, sentirti ammettere ciò mi rende felice, ed ancor di più lo sono perché d'ora in poi, se manterrai la tua parola, ciò che mi stai dando lo avrò tutti i giorni per tre volte al giorno!
E subito tuffò avidamente la lingua nel bianco e tiepido liquido.
- Non intendo mancare alla mia parola, mio caro gatto, dichiarò la donna, solo che..... c'è un problema!
- Un problema? E quale?, chiese il gatto levandosi dalla scodella e passando più volte la lingua sui baffi.
- Beh, c'è che il patto lo abbiamo stretto io e te soltanto, ed io soltanto trarrò beneficio da ciò che farai.... Cosa diranno l' uomo e il cane quando ti vedranno qui?
- L' uomo e il cane, dici?, rispose tranquillamente il gatto allungandosi in una memorabile stiracchiata, e continuò:
- Donna, io mi occuperò del tuo bambino, gli farò compagnia e giocherò con lui. Intanto darò la caccia ai topi, se mai ne torneranno. E finché saprò di poter restare nella grotta, ed accovacciarmi accanto al fuoco, ed avere il latte tiepido e bianco tre volte al giorno, poco mi importerà dell' uomo e del cane. Non ti dare pensiero per loro: saranno affari miei tenermene alla larga!
E come disse il gatto, così avvenne.
Il gatto fu gentile con il bambino che, d'altra parte, stravedeva per lui. E anche la donna, poco alla volta, finì per affezionarglisi, al punto che le capitava persino di dover vincere la tentazione di prenderlo in braccio per compiacersi delle sue fusa e del suo caldo e morbido mantello striato.
Di topi, poi, non se ne videro più o, almeno, la presenza del gatto impedì che se ne vedessero.
Quanto all' uomo iracondo e al cane ringhioso, il gatto seppe sempre evitarli mantenendo, tra tutti i conviventi della grotta, quel suo ruolo unico e particolarissimo di animale da compagnia.
Potremmo ora dire che la storia del gatto che se ne infischia, almeno nei fatti che la caratterizzarono, finisca qui, se non fosse per un altro aspetto della natura di questo animale, innocuo ma imprevedibile, che rimase sempre ignoto a tutti coloro che pure lo conoscevano e lo frequentavano quotidianamente, e che atteneva una sua particolare abitudine.
Accadeva poche volte l' anno, in certe notti nitide e speciali, quando il disco lunare invadeva di sé e della sua luce piena tutta la volta stellata del cielo; quando il satellite appariva così prossimo alla Madre Terra da sembrare quasi a portata di tocco.
In quelle notti il gatto, di nascosto a tutti, se ne andava.
Scivolando tra quegli esseri sprofondati nel sonno e nel silenzio usciva all' aperto e traversava la radura antistante, riguadagnando il buio della selva, nel cui folto si tuffava, immergendosi e scomparendo, ansioso di lasciar tutto dietro di sé, come se nulla esistesse o mai fosse esistito.
Allora si dava a correre.
Lanciandosi a lunghi balzi nella fitta vegetazione andava cercandovi il folto più folto, l' intrico più impenetrabile, il buio più buio. Ed ove la sfera lunare facesse ancora capolino da qualche raro varco della spessa cappa selvatica che lo sovrastava, le volgeva un rapido sguardo, quasi un amichevole saluto, un muto arrivederci, ancor più smanioso di confondersi, di annientarsi tra gli abissi oscuri della notte, di vivere lo sgomento dell' infinito nulla, sino a che le vicende trascorse, e gli uomini e gli altri animali gli ritornassero estranei ed assenti, virtuali residui di un'esistenza parallela e rinnegata.
Fuggiva, certamente.
Cercava scampo dalla realtà di un'esistenza cruda e crudele che costringeva lui e tutti gli altri esseri viventi a conquistare, istante dopo istante, il diritto di sopravvivere. Inseguiva uno stato di superiore affrancamento dalle miserie della vita, dai ricatti e dagli espedienti cui anche lui era stato costretto. Cercava nell' ignoto l' assoluta consapevolezza, la dimensione infinita ed inviolabile nella quale ritrovare quelle certezze eterne che giustificano la ragione dell' essere.
Così correva e correva.
Ostinatamente, senza una meta, si lanciava per piste sconosciute, scegliendo percorsi nuovi o inusuali, determinato a recidere quanti più contatti potessero ricondurlo a quel mondo dal quale un bisogno irrefrenabile lo spingeva a sottrarsi.
Quando finalmente sentiva oltrepassato anche l'ultimo confine e svanita anche l' ultima traccia del suo esistere, allora qualcosa di indistinto ed incontenibile lo invadeva: come se l'essenza immane della vita, della Natura, gli si rivelasse in tutta la sua suprema grandezza, dissolvendo il lui la memoria flebile delle necessità e delle condizioni della quotidiana sopravvivenza.
Allora, con il pelo intriso di rugiada e la mente colma di un' ebbrezza lieve, si fermava.
Attorno a lui, il vuoto. Nulla che lui potesse scorgere, presentire o sospettare, nulla che la penetrante acutezza dei suoi occhi felini o la percezione sensitiva del suo istinto infallibile lo aiutassero a presagire. Anche il tappeto erboso della selva pareva non esistere sotto le sue zampe di velluto.
Era, per così dire, in balia della Natura, delle sue forze, delle sue leggi. La fonte stessa della vita si schiudeva davanti a lui, gatto attonito, spiegandogli dinnanzi le regole inalterabili del suo Ordine Supremo.
Ora il gatto non cercava più di fuggire alla vista, di svanire alla memoria, di valicare i limiti dello spazio e del tempo. Era tornato alla Natura.
Di più: era lui stesso Natura. Un minuscolo, invisibile, modesto frammento di quella Forza Primigenia, antica e lontana, che dava origine alle cose e ne dettava i ruoli e gli equilibri.
Nella sospesa trascendenza di quella dimensione surreale, nella rara condizione di spirito libero e liberato da ogni contingenza, non più inquinato da dissimulazioni o infingimenti, il gatto sentiva allora di essere pienamente ciò che Natura aveva inteso fosse, in coerenza alle doti e ai caratteri che Essa stessa gli aveva impressi.
E mentre l'agitazione che lo aveva pungolato si placava in una ritrovata e rinnovata serenità, nella fugace evanescenza di quei pochi attimi sublimi, il gatto ritrovava sé stesso e la sua autentica propensione, ritornando così ad essere quella creatura singolare ed indomita che niente al mondo avrebbe mai potuto cambiare.
Era - per sempre - il gatto che se ne infischia e al quale tutto è indifferente.