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 Difficile dire cosa sia davvero l’Arte. Dopo lunga meditazione (lunga di anni!) costellata da troppi tentativi di trovare una definizione inequivocabile e, allo stesso tempo, onnicomprensiva, la sola possibile conclusione è stata che l’Arte - non sembri un paradosso - NON è: ossia non è nulla di specifico, di realmente individuabile, di assoluto. Nulla che si rivolga ad una declinazione culturale, ad una branca del pensiero precisamente e definitivamente connotata.

 Istinto, fantasia, trascendenza, trasporto onirico e inconscio, ma anche scienza, conoscenza, calcolo, analisi, studio, indagine, responsabile presa di posizione,… Tutto ci può stare nella mente di un artista e, in generale, molteplici sono le tipologie culturali e caratteriali di coloro che come artisti vengono riconosciuti.

 Gli (as)Saggi che seguono, a conferma di quanto sopra affermato, concentrano alcune riflessioni di varia natura analoghe a quelle che certamente avranno popolato la mente di ogni artista mentre era intento al suo lavoro.

Anno Domini 2020 (detto tutto!).

A proposito della mostra su Raffaello in corso a Roma (cascata assai male, con il virus in circolazione), tra il tanto che s’è scritto mi ha colpito un estratto dal catalogo della mostra di Palazzo Barberini nel quale sono messe a confronto due sue opere: una nota, l’altra meno. Quella nota non c’è bisogno di nominarla, l’altra sembrerebbe essere il ritratto di Pierluigi Farnese, figlio del cardinale Alessandro (che di lì a qualche anno cambierà nome, come papa, in Paolo III), di cui il catalogo dice: “Il pittore realizza in modo simile la testa, con una leggera torsione sul collo sodo e ci fa trapassare dallo sguardo acuto degli occhi scuri da cui emana una vitalità coinvolgente…(…)… Una chiarezza di materia e d’invenzione che vuole sottolineare la piena fisicità dei personaggi,…”.

Tutto bene, certo, ma trovo anche che tra i due ritratti vi sia una differenza che mi pare non da trascurare. Una differenza che chiamerei “di presenze” che deriva dalla diversità delle sollecitazioni visive che, così a me pare, condizionano l'atteggiamento dello spettatore-fruitore.

Come ci si atteggia di fronte ad un ritratto “tradizionale” nel quale l’artista rivela l’intenzione di restituirci le sembianze del soggetto? Nel quale, dai tratti somatici e oltre l’apparenza, vuole trasmettercene il carattere o il suo profilo psicologico?

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Il senso della vita si fonda sull' esperienza della realta'.

E' da questo processo che trae alimento il vissuto di ogni individuo, ma gli esiti possono essere i piu' diversi, se non opposti. Un' esperienza puo' infatti costituire occasione di rinnovamento oppure scadere a processo ripetitivo, secondo il grado di coinvolgimento che ad essa viene riservato. Più semplicemente: secondo la capacita' di stupirsi che ogni individuo riesce a mantenere giorno dopo giorno.

La capacità di stupirsi: strumento fondamentale per conoscersi e per crescere, troppo spesso equivocata con l’effetto, con la reazione di meraviglia di fronte a qualcosa di insolito, di inatteso, qualcosa che non sia normale vedere, trovare, incontrare: lo sbarco dei marziani, la bellissima diva del momento che bussa alla tua porta.... la casualita' di un evento, insomma.

Ma lo stupirsi non e' una reazione: e' una conseguenza.

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